Buoni Postali Fruttiferi
A.B. ha convenuto avanti al giudice di Pace di Cosenza Poste Italiane. Ha chiesto, in via principale, la condanna della convenuta al rimborso dell'intero montante di un buono postale fruttifero, emesso in data (*) e dotato della clausola "pari facoltà di rimborso", di cui era cointestataria superstite (per sopravvenuto decesso dell'altro cointestatario); in via gradata, ha chiesto la condanna al rimborso della propria quota, pari al 50% del totale. Il giudice di pace ha accolto la domanda proposta in via subordinata.
A.B. ha impugnato la pronuncia avanti al Tribunale di Cosenza che ha accolto l'appello, condannando la società a "rimborsare il 100% del buono postale fruttifero ,oltre interessi legali dalla domanda al saldo". Sul buono in questione risulta apposta la clausola "pari facoltà di rimborso", che "permette a ciascuno dei contitolari di riscuotere autonomamente il buono postale".
Avverso tale sentenza ha proposto gravame Poste Italiane spa .per
"violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 256 del 1989, artt. 156 e 187, (approvazione dl regolamento di esecuzione del libro terzo del codice postale e delle telecomunicazioni - servizi di banco posta), D.P.R. n. 156 del 1973, art. 182, (testo unico delle disposizioni legislative in materia postale di bancoposta e telecomunicazioni) e del D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7, comma 3".
"violazione e falsa applicazione degli artt. 1100,1102,1111 c.c.".
"violazione del D.Lgs. n. 346 del 1999, art. 48, commi 3 e 4, (testo unico in materia di imposta sulle successioni e donazioni").
La società ricorrente afferma, con il primo di essi, che "non può essere ignorato il chiaro disposto del D.P.R. n. 256 del 1989, art. 187, applicabile anche ai buoni postali fruttiferi", secondo il quale "il rimborso a saldo del credito a persona defunta oppure cointestato anche con la clausola della pari facoltà di rimborso a due o più persone una delle quali sia deceduta, viene eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto".
"La ratio di questa disposizione" - così illustra la società ricorrente - "è evidente: il legislatore, in caso di decesso di uno dei cointestatari ha imposto la quietanza congiunta di tutti gli aventi diritto sia per tutelare il debitore Poste Italiane da eventuali pretese degli eredi del cointestatario deceduto, sia per evitare che, in conseguenza dell'estinzione del titolo su richiesta di uno solo degli aventi diritto, cessi la sua fruttuosità... anche in danno di coloro che non sono intervenuti alla quietanza".
La società ricorrente sostiene che le norme della comunione ordinaria - che si applicano "quando la proprietà di un bene, e dunque anche di un diritto di credito, spetta a più persone" - smentiscono da sè sole la soluzione adottata dal Tribunale calabrese.
Ad avviso della ricorrente, dunque, nel caso di morte di un cointestatario entra in applicazione la norma dell'art. 1102 c.c.: "pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo, si rientra nell'ambito dell'appropriazione del bene comune, per legittimare il quale è necessario il consenso di tutti i partecipanti".
Posta la sussistenza di una comunione, comunque, "si può addivenire al rimborso della propria quota" - si incalza - "solo attivando la procedura di scioglimento della comunione prevista dall'art. 1111 c.c.".
La decisione del Tribunale calabrese viola altresì - questo l'ordine di rilievi svolto dalla società ricorrente col terzo motivo - la norma del testo unico in materia di imposta sulle successioni e donazioni, art. 48, che si mostra "estremamente chiara" nel disporre che, "alla morte dell'intestatario di somme depositate presso un istituto di credito, debba procedersi al blocco di qualsiasi operazione di pagamento sino a quando non sia esibita la dichiarazione di successione o sia dichiarato per iscritto dall'interessato che tale obbligo non sussiste".
"Ove non si attenga a tale disposizione la banca è soggetta a sanzioni amministrative": "si tratta di un vincolo di indisponibilità della prestazione, automaticamente imposto da una norma imperativa".
Secondo quanto accertato dalla sentenza del Tribunale calabrese, la clausola contrattuale, che risulta apposta sul corpo del buono postale in questione, prevede la distinta facoltà di ciascun cointestatario di ottenere il rimborso dell'intero dovuto senza limitazioni o riserva di sorta; e cioè per ogni evenienza.
La società ricorrente non contesta, lungo l'arco dei motivi che viene a svolgere, questa circostanza; la stessa intende piuttosto richiamare la presenza di norme comunque dotate di forza e sostanza imperativa.
La constatazione è importante, nella misura in cui vale a indicare l'impostazione in cui collocare il problema proposto dalla clausola di "pari facoltà di rimborso", che risulta apposta sul buono postale concretamente in questione.
Attesa l'univocità del testo della clausola e tenuto anche conto del tradizionale orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che dà comunque peso predominante ai dati risultanti sul testo dei buoni postali (cfr., di recente, Cass., 31 luglio 2017, n. 19002; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4761), si tratta dunque di verificare se la portata onnicomprensiva del testo predisposto si scontri effettivamente, oppure no, con l'applicazione di norme imperative, sì da soffrire, nel caso, del vizio di nullità parziale (inteso, naturalmente, come vizio di parte della clausola) ex art. 1419 c.c., comma 1.
Un consistente orientamento di dottrina e giurisprudenza di merito rileva, infatti, che la Disp. dell'art. 187, riguarda unicamente i libretti di risparmio, senza prendere in considerazione i buoni postali; che la norma del D.P.R. n. 256 del 1989, art. 203, ("le norme relative al servizio dei libretti di risparmio postale, di cui al V del presente regolamento sono estese al servizio dei buoni postali fruttiferi, in quanto applicabili e semprechè non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo VI") non dispone nessun tipo di automatica estensione ai buoni della disciplina scritta per i libretti (cosa che, del resto, mette pure in dubbio l'eventuale carattere imperativo della disposizione) e che, dunque, la stessa applicabilità andrebbe sub specie dimostrata (posto pure che quella dell'art. 187, è - si afferma - "disposizione limitativa di diritti e come tale da interpretare restrittivamente"); che, per di più, il D.P.R. n. 259 del 1989, art. 208, dispone, in proposito, una disciplina specifica - e diversa - per la peculiare figura dei buoni ("i buoni sono rimborsabili a vista", secondo quanto già in precedenza stabilito dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 178); che, in ogni caso, il D.P.R. n. 256 del 1989, art. 187, comma 2, consente espressamente, e proprio per i libretti di deposito, la possibilità di provvedere a rimborsi parziali.
Tuttavia, anche l'effettiva riferibilità dell'art. 48, alla fattispecie dei buoni postali non appare per nulla scontata. Si è da più parti rilevato, infatti, che, ai fini dell'imposta di successione, i buoni risultano equiparati ai titoli di stato, che come tali non rientrano nell'attivo ereditario (cfr. il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 12, lett. i). Con la conseguenza - pure si sottolinea - che non v'è nessun obbligo da parte del contribuente di denunziare i buoni nella dichiarazione di successione.
Rilevato che la questione sottesa alla clausola "pari facoltà di rimborso" non risulta ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte e, altresì, che la stessa presenta un rilevante rilievo nomofilattico, specie in ragione della sua diffusione nella contrattualistica predisposta dalla società ricorrente, il Collegio ritiene che non sussistano le condizioni di evidenza decisoria richieste dalla norma dell'art. 375 c.p.c., u.c..
La controversia va pertanto rimessa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile.
P.Q.M.
La Corte rimette la causa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile - 1, il 14 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020.