Riorganizzazione aziendale e licenziamento ai tempi del Covid 19.
L’art. 12 del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, (in Gazz. Uff., 28 ottobre 2020, n. 269), contente le “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (Decreto Ristori)”, così statuisce: “9. Fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. 10. Fino alla stessa data di cui al comma 9, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge. 11. Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso”.
La norma si pone nel solco dei precedenti art. 46 del Decreto-Legge n. 18 del 17/03/2020 (Gazzetta Uff. 17/03/2020, n. 70) e art. 14 del Decreto-Legge n. 104 del 14/08/2020 (Gazzetta Uff. 14/08/2020, n. 203), prorogando i divieti ivi contenuti sino al 31.01.2021.
Sono necessarie però delle precisazioni.
L'art. 46 del decreto Cura Italia disponeva un divieto generale per un periodo di 5 mesi a decorrere dal 17 marzo 2020, mentre l’art. 14 del decreto Agosto n. 104/2020 prorogava tale divieto collegandolo però alla condizione che il datore di lavoro non avesse integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconosciuti per periodi dal 13 luglio al 31 dicembre 2020, riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19, ovvero dell'esonero contributivo riconosciuto a chi non fruisce dei suddetti trattamenti. Infine, il divieto è stato prorogato sino al 31 gennaio 2021 dall'art. 12 in analisi, sempre in conseguenza della concessione, da parte del medesimo art. 12, di un ulteriore periodo massimo di sei settimane di trattamenti di integrazione salariale, ordinari e in deroga, e di assegno ordinario esclusivamente per periodi intercorrenti tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021 in favore dei datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato l'ulteriore periodo di nove settimane previsto dal decreto Agosto (la seconda tranche), decorso il periodo già autorizzato, nonché dei datori di lavoro operanti nei settori oggetto delle nuove restrizioni disposte dal DPCM 24 ottobre 2020.
Pertanto, il generale divieto di licenziamento sancito sino ad agosto 2020 è stato ristretto ai soli datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali.
A ciò va aggiunto che sono molteplici le eccezioni previste dalla norma e, in particolare:
- cessazione definitiva dell'attività dell'impresa;
- messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile;
- accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22;
- fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Pertanto, i datori di lavoro che non hanno fruito delle agevolazioni sopra citate o che abbiano terminato il loro utilizzo possono comunque procedere ai licenziamenti collettivi o per g.m.o., così come i datori di lavoro che, pur utilizzando ancora tali misure, operino la riorganizzazione dell’impresa con soppressione di alcune posizioni di lavoro, stipulando accordi collettivi con le oo.ss. comparativamente più rappresentative a livello nazionale (prevedibilmente quelle coinvolte nelle negoziazioni del CCNL).