Il diritto all’anonimato della madre biologica.
La delicata questione affrontata dalla Corte di Cassazione riguarda una madre naturale cui è stata richiesta l’autorizzazione a rivelare la propria identità. In particolare, nel corso dell’interpello la donna aveva dimostrato una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive, non era stata in grado di esprimere la propria volontà e addirittura neppure di ricordare l’evento della nascita del figlio, che le veniva rappresentato.
È sempre necessario effettuare un bilanciamento tra il diritto della madre di mantenere l’anonimato e il diritto del figlio di conoscere le proprie origini. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278 del 2013, muovendo dalla distinzione tra “genitorialità giuridica” e “genitorialità naturale”, ha ritenuto eccessivamente rigida e in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. la disciplina della L. n. 184 del 1983, art. 28, comma 7, come sostituito dal D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 177, comma 2, che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata, laddove non se ne preveda la revocabilità, in seguito alla richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza (cfr. anche Cass. S.U. n. 1946/2017 in ordine all’applicazione dei suesposti principi).
Di conseguenza, se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l’equilibrio psico-fisico della genitrice, sicché il diritto all’interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta effettuata al momento del parto (così Cass. 22497/2021).
Va pertanto sempre tutelato il diritto all’oblio della donna, inteso sia come suo diritto di dimenticare sia come diritto di essere dimenticata, diritto ancora sussistente e meritevole di protezione anche quando sono trascorsi tanti anni dal parto. (Cass. civ., sez. I, ord., 3 marzo 2022, n. 7093).