Obbligo vaccinale dei lavoratori dipendenti di RSA.
Il D.L. n. 44 del 1 aprile 2021, convertito con modificazioni in Legge n. 76 del 28 maggio 2021, introduttivo delle “misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” stabilisce, nelle enunciazioni generali di principio (art. 4 comma 1) che, “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1°. febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita (comma 2).
Il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza sia dei dipendenti che dei soggetti terzi che per diverse ragioni si trovano all'interno dei locali aziendali e ha quindi l'obbligo ai sensi dell'art. 2087 c.c. di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei predetti soggetti. Quando l’adempimento di tali doveri di protezione non possa essere limitato a prescrizioni di condotta (ad es. utilizzo della mascherina) o all’adeguamento dell’ambiente di lavoro (ad es. installazione di pannelli protettivi in plexiglass), ma si spinga sino al punto di sospendere unilateralmente la prestazione di un dipendente, la cui perdurante frequentazione dei locali aziendali sia ritenuta incompatibile con la specifica organizzazione del lavoro e la salubrità e sicurezza dell’ambiente lavorativo, non potrà che farsi applicazione dei principi generali che regolano la fattispecie, come precisati dalla diuturna applicazione giurisprudenziale.
Viene, in particolare, in rilievo l’istituto della sopravvenuta impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.), risultando il lavoratore in ambito sociosanitario, che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione, temporaneamente inidoneo, in quanto potenziale maggior veicolo di diffusione del contagio, allo svolgimento della prestazione tipica, prevedente il contatto con soggetti fragili, potenzialmente attingibili dalle gravi o fatali conseguenze della patologia da Covid-19, sino alla sottoposizione ad un ciclo vaccinale completo o, alternativamente, alla cessazione dell’emergenza epidemiologica.
La sospensione del lavoratore senza retribuzione integra, però, l’extrema ratio e la medesima procedura introdotta dalla normativa in analisi impone che il datore di lavoro adibisca il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implichino rischi di diffusione del contagio. Solo quando tale assegnazione a mansioni diverse non sia possibile, il lavoratore può essere sospeso e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
La sospensione ha efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre la fine dello stato di emergenza.