Le Sezioni Unite dirimono il contrasto giurisprudenziale in tema di contratti di fideiussione stipulati e redatti a valle secondo gli schemi predisposti dell'ABI e ritenuti parzialmente nulli dall'Autorità Garante in violazione dell'art. 2 l. n. 287-1990.


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I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle clausole contrastanti con gli artt. 3, comma 2, lett. a) l. n. 287/1990 e 101 del TFUE, sono solo parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

21/01/2022 | 09:00
Autore: Valentina Clemente

Con ordinanza interlocutoria n. 11486/2021, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rilevato che sulla questione relativa alla tutela riconoscibile al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione a valle, in caso di nullità delle condizioni stabilite nelle intese tra imprese a monte, per violazione dell’art. 2, comma, 2, lett. a), della L. n. 287 del 1990, non vi è accordo in dottrina e in giurisprudenza, essendosi - in sostanza - delineate tre soluzioni: a) nullità totale del contratto a valle; b) nullità parziale di tale contratto, ossia limitatamente alle clausole che riproducono le condizioni dell'intesa nulla a monte; c) tutela risarcitoria.

Occorre innanzitutto precisare che i rilievi critici dell’Autorità Garante, evidenziati nel provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, riguardarono, in particolare, le clausole n. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) nell’ottobre del 2002, per le fideiussioni a garanzia di operazioni bancarie, e precisamente: a) la cd. "clausola di reviviscenza", secondo la quale il fideiussore è tenuto "a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo" (art. 2); b) la cd. "clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.", in forza della quale "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1957 c.c., che si intende derogato" (art. 6); c) la cd. "clausola di sopravvivenza", a termini della quale "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate".

Al bilanciamento tra le giustapposte esigenze di garanzia della libera esplicazione della iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. e della tutela dei consumatori - quali soggetti del mercato al pari degli imprenditori – provvede, nel nostro ordinamento, la Legge Antitrust n. 287 del 1990, il cui art. 2 considera vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare - in qualsiasi forma e in maniera sostanziale - il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Nello stesso senso, l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (originario art. 81 del Trattato CE e, ancor prima, art. 85 del Trattato di Roma) - in applicazione dell’art. 3, secondo cui "L'Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori": (...) b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; (...)" - dispone: "1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; (...). 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto".

 

La Cassazione civile a Sezioni Unite, con la sentenza n. 41994 del 30/12/2021, ha risolto il suddetto contrasto, ritenendo “che, tra le tre diverse soluzioni individuate da dottrina e giurisprudenza, quella che perviene a risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust sia la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un'ipotesi di nullità parziale”.

La Corte ha evidenziato che “il riconoscimento, alla vittima dell'illecito anticoncorrenziale, oltre alla tutela risarcitoria, del diritto a far valere la nullità del contratto si rivela un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell'interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust”.

Per il principio "utile per inutile non vitiatur", la nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all'intero contratto solo ove l'interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non abbia un'esistenza autonoma né persegua un risultato distinto, ma sia in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità (Cass., 05/02/2016, n. 2314).

Agli effetti dell'interpretazione della disposizione contenuta nell'art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all'intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l'utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice. Per converso, l'estensione all'intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata (Cass. 21/05/2007, n. 11673).

La Cassazione ritiene che tale ultima evenienza è di ben difficile riscontro nel caso in esame. “Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l'effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione. D'altro canto, però, il fideiussore (nel caso di specie socio della società debitrice principale) - salvo la rigorosa allegazione e prova del contrario - avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole predette, essendo una persona legata al debitore principale e, quindi, portatrice di un interesse economico al finanziamento bancario”.

La nullità dell'intesa a monte determina, dunque, la "nullità derivata" del contratto di fideiussione a valle, ma limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8) che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole.

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