Medici specializzandi una quarta via per il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione del diritto comunitario dovuta ad una sentenza di ultimo grado.
Come è noto la questione dell’omessa remunerazione dei medici specializzandi italiani, è stata oggetto di ripetute pronunce sia della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. Schipani e altri c. Italia, 21.7.2015), sia della Corte di giustizia (cfr. CGCE, sentenza 25.2.1999, Carbonari e al., causa C-131/97; CGCE, sentenza 3.10.2000, Gozza e al., causa C-371/97; e CGUE, sentenza 24.1.2018, Pantuso e al., cause riunite C-616/16 e C-617/16; da ultimo causa C-590/20 Sentenza 3 marzo 2022 ), procedimenti all’esito dei quali è emersa, sempre più, la distanza che separa i nostri tribunali dall’esatta applicazione del Diritto Europeo in tema di equa remunerazione ai medici iscrittisi ai corsi di specializzazione nel periodo 1978 – 2006.
Invero la stessa Corte di Cassazione, quale ultimo e supremo organo giurisdizionale interno, e come le pronunce sopra richiamate dimostrano, in più di un’occasione è incorsa in una errata applicazione della normativa dell’unione europea, laddove ha negato il diritto all’equa remunerazione per gli iscritti ante 1982; sulla insufficiente quantificazione dell’ammontare del risarcimento, sulla rivalutazione e gli interessi, nonché sulla prescrizione.
Da qui la possibilità di valutare, quale “ipotetico quarto grado di giudizio” un’azione che preveda il risarcimento del danno per il cittadino che sia stato parte lesa per la violazione del diritto comunitario da parte di una corte suprema e ciò in ossequio alle pronunce della CGUE Corte di Giustizia UE, 30 settembre 2003, C-224/01 (Kobler) sent. 5/03/1996, in C-46/93 e 48/93, Brasserie du Pecheur e Factortame; 19/11/1991, in C-6/90 e 9/90, Francovich; sentenza della Corte di Giustizia UE, 13 giugno 2006, C-173/03) secondo le quali “ gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili" e che tale principio "si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Infatti, questo principio, inerente al sistema del Trattato, ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l'organo di quest'ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione".
Ne consegue che Se è vero che il diritto al risarcimento "trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario nel caso in cui queste condizioni siano soddisfatte, è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato" e quindi attraverso gli strumenti processuali propri del nostro ordinamento ed in particolare il richiamo va alla legge sulla responsabilità civile del giudice Legge 13 aprile 1988 n. 117 così come modificata dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 (emanata a seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE, 24 novembre 2011, C-379/10 che stigmatizzava il comportamento dello Stato italiano per il mancato rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, stante l’interpretazione e la costante applicazione restrittiva di tale normativa), ed introducendo la disposizione secondo la quale costituisce colpa grave la violazione manifesta del diritto dell'Unione Europea (art. 2, comma 3 l.117/88) e che ai fini del relativo accertamento occorre tener conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate, dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza, nonché dell'inadempimento dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 267, terzo paragrafo, del Trattato UE e del contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di Giustizia UE (art. 2, comma 3-bis).
Nonostante tali modifiche, introdotte dal legislatore del 2015, lo stesso si è però “dimenticato” di separare le ipotesi di danno per violazione della normativa nazionale, per le quali trova applicazione diretta il procedimento previsto dalla L. n. 117 del 1988, rispetto alla pretesa risarcitoria fondata sulla violazione del diritto comunitario attuata dallo Stato legislatore, per la cui proposizione non sarebbe richiesta l'osservanza del rito disciplinato dalla citata L. n. 117 (e naturalmente -per quello che qui interessa- il termine previsto dall'art. 4, comma 3 per l’avvio dell’azione giudiziaria ovvero entro due anni dalla pronuncia giurisdizionale che ha determinato il danno).
Una questione della massima importanza che ha spinto la terza sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 19037 depositata il 6 luglio 2021, a porre, alle SS.UU. la questione relativa alla assoggettabilità (necessaria o meno) al procedimento speciale previsto dalla L. n. 117 del 1988 anche per quelle azioni della cui responsabilità dedotta in citazione riguardi la violazione del diritto dell'Unione, con particolare riferimento all'obbligo del giudice di ultima istanza di provvedere al rinvio pregiudiziale.
In attesa, pertanto, che la Corte si pronunci resta fermo il diritto di tutti quei cittadini, nel caso di specie dei medici specializzandi, che si sono visti negare, dalla Corte Suprema di Cassazione, il diritto all’equa remunerazione di matrice comunitaria, a ricorrere dinanzi all’autorità giudiziaria italiana (Tribunale ) per ivi sentir condannare – laddove sussistenti i relativi presupposti – lo Stato italiano al risarcimento dei danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario con riferimento all’attività di giudici di ultima istanza.